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Intendiamoci subito, non esiste un solo caciocavallo in Italia e men che meno in Sicilia. Qui parliamo nello specifico del Caciocavallo palermitano detto anche di Godrano dal nome del paesino in cui la produzione è originaria insieme a Cinisi. I territori di Cinisi e di Godrano, il primo compreso tra una corona di monti ed il mare e l'altro posto all'ingresso del bosco della Ficuzza, si affacciano alla storia nel periodo arabo. Negli anni che seguono diventano feudi e baronie e si arricchiscono di chiese, conventi benedettini e torri di avvistamento. L'architetto Marvuglia nel 1803 costruisce, nel bosco della Ficuzza, la palazzina di caccia per Ferdinano IV di Borbone ed il poeta dialettale Giovanni Meli (1740-1815) descrive nei suoi versi "i pastori e i pescatori, la natura e la campagna, il vento ed il sole di Cinisi". In questo territorio ha origine il Caciocavallo palermitano.

Il Caciocavallo è un formaggio antico per esempio Carmelo Trasselli nella sua opera "Alcuni calmieri palermitani del '400" scrive che già dal 1412 si riscontra un riferimento a questo formaggio, in uno dei calmieri imposti dai Giurati e Probiviri per la vendita al minuto degli alimenti nei mercati di Palermo, si fa una netta distinzione fra il cacio vaccino ed il caciocavallo, considerato un prodotto di maggiore pregio e quindi di maggiore costo rispetto al primo. Da altri scritti (ricevute commerciali immagino) risulta che fosse molto gradito alle monache del monastero di S. Castrenze di Monreale. Anche Pitrè, nume tutelare di Firriando, parla di come veniva usato questo pregevole formaggio in cucina e con cosa venisse accostato: addineddi, cirviteddi, cavadduzzi (gallinelle, cerbiatti, cavallucci). Sappiamo anche che il suo valore economico era talmente elevato da essere usato al posto del denaro nei contratti di affitto.

Il Caciocavallo è un tipo di formaggio a pasta filata; quello palermitano è prodotto nella provincia di Palermo e in alcuni comuni del Trapanese, ma la maggiore produzione è a Godrano e Cinisi. Il latte, come abbiamo già scritto, è quello delle autoctone vacche Cinisare (originarie della zona di Cinisi) dal caratteristico mantello nero e dalle corna piccole. Dotata di spiccata rusticità e longevità, di capacità di utilizzazione di foraggi grossolani e di adattamento alle condizioni "estreme" di allevamento, la Cinisara viene allevata da secoli nell'area interna palermitana e del godranese.

Il primo passo della produzione è la cagliatura: il latte viene messo in una tina di legno a 35° con l'aggiunta di caglio di agnello in pasta. Dopo la coagulazione la cagliata viene rotta con un utensile di legno: la rotula, un bastone in legno alla cui estremità porta una piccola ruota. Quindi la pasta ottenuta dopo una prima sommaria pressatura viene lasciata maturare sotto scotta calda (un residuo della lavorazione della ricotta). Dopo un paio d'ore la cagliata viene estratta dal siero, pressata fino a diventare piatta; la tuma così ottenuta è lasciata asciugare a cavallo di una sbarra di legno, la cosiddetta appizzatuma. Da questa fase probabilmente deriva il nome Caciocavallo.

Il giorno seguente, quando la pasta ha raggiunto una certa acidità, viene tagliata a fette lungo il senso della stiratura e rimpastata (filata) con acqua e scotta calda; il rimpasto avviene dapprima con un bastone di legno, il vaciliatuma, e poi con le mani. Il giorno dopo viene immerso in salamoia. La salatura avviene in salamoia satura per un periodo variabile secondo il peso, per un massimo di 10-12 giorni e dopodiché il formaggio viene fatto stagionare per un periodo che va dai 2 ai 6 mesi. Da questa lavorazione si possono ottenere due diversi tipi di produzioni: quella di più antiche tradizioni, in cui il formaggio ha la caratteristica forma a parallelepipedo (in quanto viene messo nelle forme di legno per avere un prodotto dal peso di 5-12 Kg.) o quella, più recente, dove l'abilità manuale del casaro modella il formaggio per ottenere una provola o una caciotta a forma di pera del peso di 0.600-2.0 Kg. Per queste ultime è frequente l'affumicatura; le caciotte di caciocavallo, in tal caso, vengono poste sopra una griglia metallica e sotto si dà fuoco con paglia umida.

La crosta è sottile, liscia e di colore ambrato (aumenta con la stagionatura). La pasta è di colore giallo paglierino, compatta, tenace e con sfogliature a stagionatura avanzata. L'odore è fragrante, caratteristico, il sapore è piccante. I piatti in cui viene usato il Caciocavallo palermitano sono tanti: sarde a beccafico, polpette con le mandorle, timballo di maccheroni rossi, pizza rustica, torta di melanzane, arancine di riso, frittata con la cicoria, polpettone alla siciliana, sfincione, sformato di peperoni e cipolle.

Il Caciocavallo palermitano è un formaggio a rischio di estinzione: Alcuni problemi legati alla disponibilità di pascoli e di quote produttive, alla sanità degli animali (tubercolosi) ed alle condizioni igieniche dei ricoveri e
dei locali di caseificazione, segnano di incertezza il futuro di questo comparto produttivo che non riesce a superare i limiti dell'arretratezza strutturale e culturale. Da qualche tempo un Consorzio di tutela da poco costituitosi è impegnato nell'iter burocratico per l'acquisizione della D.O.P.: il marchio, di fatto, potrebbe rappresenta un importante riconoscimento per la tutela della qualità originaria del Caciocavallo Palermitano; ma certamente non è di per sé una leva che può risolvere le problematiche della filiera.

I luoghi

Il Caciocavallo palermitano

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