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La sua coltivazione in Sicilia fu introdotta nel IX secolo d.C. dagli Arabi che individuarono nei terreni di natura vulcanica di Bronte, in provincia di Catania, il luogo ideale per l'innesto e la coltivazione della Frastuca (pistacchio), data la notevole diffusione del portinnesto spontaneo (scornabecco). Il frutto e Frastucara, la pianta, sono storpiature dialettali dei termini arabi "fristach", "frastuch" e "festuch" derivati a loro volta dalla voce persiana "fistich". L'introduzione in Italia e in Sicilia, dove attecchisce più facilmente che nelle altre regioni della penisola, risale però a epoche più antiche, tra il 20 ed il 30 d.C..

Proveniente secondo certi studiosi da Psitacco, città della Siria o, secondo altri dall'Asia minore o dal Turkestan, quest'albero contorto, dalla corteccia rossiccia, che diventa grigia quando la pianta è adulta, era già nota agli ebrei. Infatti, il pistacchio è citato nella Genesi, fra i doni che Giacobbe inviò al faraone nel 1802 a.C.

La specie ha avuto un certo sviluppo in Sicilia a partire dalla seconda metà dell'800, in particolare in provincia di Catania ai piedi del vulcano Etna nel territorio di Bronte. Su una superficie stimata di circa 3000 ettari, caratterizzata da orografia sconnessa e spesso declive e priva di risorse idriche, i pistaccheti di Bronte, detti lochi, determinano una forte caratterizzazione paesaggistica ed ambientale, dovuta alla morfologia delle piante procombenti o addirittura striscianti sulla viva roccia.

Le varietà coltivate sono: Napoletana o Bianca. I suoi alberi sono un groviglio di rami sottili e contorti che a settembre si colorano di rosa, per i grappoli di pistacchi che, chiusi nel mallo, sembrano confetti. È una coltivazione impegnativa e faticosa, innanzitutto perché le piante fruttificano soltanto ogni due anni, e poi perché crescono in terreni accidentati, dove è impossibile utilizzare qualsiasi macchina: i pistacchi si raccolgono a mano, uno per uno, tenendosi in equilibrio fra i massi di lava nera con sacchi di tela al collo. Dopo la raccolta il frutto viene smallato, essa avviene con apparecchiature di tipo artigianale e quindi lasciato asciugare al sole per 5-6 giorni. Dalla smallatura del frutto si ottiene la tignosella, che successivamente viene sgusciata e pelata dai commercianti per essere immessa sul mercato.

Grazie al suo colore verde brillante e all'intenso sapore, viene utilizzato principalmente in pasticceria. Contiene numerose varietà di oli essenziali con attività antimicrobiche, mentre l'attività antiossidante è riconducibile alla presenza di biofenoli.

Il pistacchio contiene inoltre apprezzabili quantità di acidi grassi saturi, ma soprattutto insaturi (71-85%), che espletano una riconosciuta attività nella modulazione della risposta alle infiammazioni ed hanno una funzione protettrice dell'apparato cardiovascolare e renale.

I luoghi

Il Pistacchio verde di Bronte D.O.P.

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