Le ricette
L'elenco completo dei primi:
Timballo di capellini
Ingredienti
1 kg. di capellini
800 gr. di macinato di vitello
carote qb
sedano qb
cipolle qb
salsa di pomodoro qb
200 gr. di primosale
100 gr. di salame tipo Napoli
100 gr. piselli
uva passa e pinoli qb
burro qb
parmigiano qb
Preparazione
Soffriggete la cipolla, due coste di sedano e due carote finemente triturate, quando sono appassite aggiungete il macinato, sfumatelo con un po’ di vino bianco, aggiungete la salsa di pomodoro (poca, solo per colorare la carne), unite l’uva passa e i pinoli e fate cuocere a fuoco basso per circa un’ora. A cottura ultimata aggiungete il salame ed il primosale tagliati a dadetti e i piselli sbollentati. Bollite i capellini in abbondante acqua e scolateli appena si piegano lasciandoli praticamente crudi. Preparate in anticipo un grande recipiente dove avrete messo sul fondo il burro pestato con la forchetta; scolatevi sopra i capellini e rimestateli velocemente, aggiungete abbondante parmigiano. Imburrate una teglia e spolveratela di pangrattato. Mettete nel fondo uno strato di capellini imburrati, al centro il preparato di carne e chiudete con un altro strato di capellini. Spolverate col pangrattato, infornate nel forno precedentemente riscaldato al massimo, aspettate fino al formarsi della crosta, sformate.
Il Timballo di capellini nasce nelle cucine dei Monsù e rappresenta il cugino aristocratico del timballo di anelletti. Lo si intuisce dalle abbondanti dosi di burro presenti nella ricetta; ingrediente che non si ritrova nelle cucine dei siciliani fino all'inizio del XVIII secolo, quando, per volontà dei reali Ferdinando e Carolina, rifugiatisi in Sicilia da Napoli per scappare all'esercito napoleonico, viene inaugurato a Partinico il primo caseificio. L'apertura del caseificio non significò la diffusione del burro in Sicilia, era un alimento costoso; i viaggiatori inglesi dell'800 riferiscono che solo a Palermo era disponibile.
Il timballo di anelletti è dunque una versione economica del timballo di capellini, un prodotto di quella cucina immaginativa tanto diffusa in Sicilia? Probabilmente è vero il contrario: aumentando le dosi di burro nel proprio timballo e riducendo la quantità di salsa, i Monsù si distinguevano dai cuochi di paglietta, come erano definiti in maniera spregiativa i cuochi dei borghesi arricchiti.