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I piatti della festa
Il Festino (è inutile, per un siciliano, aggiungere "di santa Rosalia", perchè solo quello c'è) è un immenso ex voto popolare dedicato a Santa Rosalia per grazia ricevuta. Fu lei, la Santuzza, a salvare i palermitani dalla peste meritandosi il posto d’onore tra le patrone della città (Sant’Agata, Sant’Oliva, Santa Ninfa e Santa Cristina) che, dall’alto delle loro nicchie dei Quattro Canti, nulla avevano potuto.

Consiste in spettacoli, mostre e concerti che iniziano i primi giorni di luglio, trovano l'apice la notte del 14 quando il Sindaco, con la frase "Viva Palermo e santa Rosalia", rinnova il voto e si concludono con le celebrazioni religiose del 15. Ogni anno viene sviluppato un tema differente, mantenendo però di base la storia del miracolo della vittoria sulla peste avvenuto nel 1624. Secondo la leggenda, Santa Rosalia apparve ad un cacciatore indicandogli l'ubicazione delle proprie spoglie sul Monte Pellegrino. Nella grotta indicata dalla visione, vennero trovate 27 reliquie e solo dopo che i resti furono portati in processione, la città venne liberata dalla peste.

La notte del 14 luglio la festa giunge all'apice, con una solenne processione pagana che ha inizio dal Palazzo dei Normanni, lungo l'antico asse viario del Cassaro fino al mare, passando attraverso Porta Felice, secondo un itinerario ideale dalla morte (la peste) alla vita (la luce dei fuochi d'artificio in riva al mare). La processione, composta da un carro trionfale con la statua della santa e da carri allegorici, si ferma davanti all'imponente complesso architettonico della Cattedrale, ai Quattro canti e alla Marina, dove ha luogo un grande spettacolo pirotecnico accompagnato da musica sinfonica eseguita dal vivo.

I giorni del festino sono il trionfo del cibo di strada palermitano: una sorta di esposizione universale dello street food. Il piatto principe sono le "babbaluci a sucari” (lumache) che bisogna abilmente estrarre dal guscio con un secco risucchio. Su coloratissimi banchi è possibile acquistare carrube, fave e ceci abbrustoliti, accanto a montagne di semi di zucca. Con e senza sale. Sfincioni, stigghiole, quarume, frittola, vastedde, torroni di mandorle e nocciole, cubaita di sesamo e il famoso gelato di campagna fatto di zucchero colorato.

Sono i giorni del trionfo di solenni caponate, della “vugghiuta” (il tonno sott’olio fatto in casa) con la salsa di menta, delle sarde a beccafico, di colossali insalate di cipolle e peperoni infornati, di olive e cetrioli, della “parmiciana” (dove mai entrò il cacio di Parma), della zucca rossa in agrodolce e di tanta “cucuzza” bollita con un pizzico di sale sopra. Polpo bollito, la pannocchia bollita (pollanca) e l'anguria coronano il repertorio di cibi.

Nei tempi passati, nei piani alti, si fecero follie, il marchese di Villabianca per il Festino del 1772 annotò queste spese: «duemila pastizzarie a grana 8 l’una fanno onze 27 per 200 quartucci di limonea [...] onze 20 per acqua annevata [L'acqua annevata era la rara neve fatta arrivare in città per fare il gelato]  in tutto fanno [...] onze 6 per 50 cantàri di melloni a grana 2 a rotolo onze 17 per ghiacci e carapegne per la nobiltà onze 36».

Il Festino: viva Palermo e Santa Rosalia

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