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Le ricette

Le sarde a Beccafico: un capolavoro della cucina di trasformazione

Ingredienti:

1 Kg. di sarde
mezza cipolla
una manciata di foglie di alloro
1 arancia
1 limone
100 gr di uva passa
100 gr di pinoli
un pugnetto di mandorle (facoltativo)
200 gr di pangrattato
una tazzina di olio extravergine di oliva
sale,
pepe,
un pizzico di zucchero

Preparazione:

Aprite le sarde a libro e asportate le interiora e la lisca centrale, eliminando la testa ma lasciando i due filetti uniti per il dorso. Lavatele e mettetele a scolare.
Tritate finemente la cipolla e rosolatela in due cucchiai d'olio. Versate a pioggia il pangrattato e tostatelo a fuoco basso. Non appena prende un colore dorato, unite l'uva passa ammollata e strizzata, le scorze grattugiate degli agrumi (eliminando la parte bianca), i pinoli, sale, pepe e zucchero.
Spalmate il composto sull'interno delle sarde e ricomponetele pressando leggermente perché non si aprano al momento della cottura.
Sistematele in una teglia da forno alternate alle foglie di alloro; se volete, aggiungete le mandorle tostate passate al mixer. Irrorate con olio e il succo dell'arancia e infornate per un quarto d'ora a 180°.
Sarde a Beccafico
Trasformare delle sarde dilescate in uccelletti della famiglia dei Passeriformi è un miracolo che solo le nostre nonne sono state in grado di fare. Il beccafico (Sylvia borin) è un uccello canoro appartenente alla famiglia dei Sylviidae, ed è detto anche gricciola o frabetta. Ha piumaggio bruno olivastro sul dorso e bianco rossiccio nelle parti inferiori. Nel linguaggio corrente però con beccafico s'intendono tutte le specie del genere "Sylvia", tra le quali troviamo la capinera. Solitamente frequentano vigne, oliveta e cespugli, cibandosi, nei mesi estivi, di bacche e frutta.

Sono ghiottissimi di fichi ben maturi, da cui il loro nome. Proprio il nutrirsi di fichi rende le loro carni particolarmente saporite e, anche se protetti, vengono purtroppo cacciati di frodo. Che i beccafichi fossero buoni da mangiare lo sapevano già i romani, e il grande Brillat-Savarin, politico francese, padre della gastronomia, ne parla con entusiasmo, ma in quelle ricette non trovavano migliore sorte che quella di finire allo spiedo. In Sicilia invece furono più fantasiosi.

La caccia era certamente tra gli svaghi principali dei nobili siciliani, soprattutto la caccia al beccafico che era piuttosto semplice: bastava appostarsi all'ombra delle grandi ficare (alberi di fico) e sparare con cartucce caricate con poca polvere, un miscuglio di crusca e borraggio chimico che garantiva ampie rosate e con poco piombo viste le piccole dimensioni della preda.

A tavola dunque i beccafichi non dovevano mancare, nei ricettari degli antichi monsù siciliani, si trovano infatti autentiche squisitezze. Riporto questa ricetta, di fine Settecento, che è ritenuta la più importante:
«Spiumate, pulite, togliete testa e zampe. Prendete cipolle rosse quanti sono i beccafichi: togliete le foglie esterne e, con un taglio orizzontale, eliminate l'estremità conica e riservatela. Svuotate ogni cipolla di parte dell'interno in modo che vi si possa contenere un beccafico. Condite con olio, sale, pepe, avendo cura di allinearle in una teglia facendo cuocere in forno medio [ 180°] per circa un'ora. Alla mezz'ora spruzzate con vino bianco ben secco e ricoprite con il tappo della cipolla che avevate riservato da parte. Al momento di servire,.sollevate il tappo, bagnate con una spruzzatina d'aceto e spolverate con origano ben pesto».

E le sarde che c'entrano? Era consuetudine dell'epoca che la servitù diffondesse le abitudini alimentari dei nobili come gossip, probabilmente qualcuno ascoltò che si era mangiato il beccafico e come era stato servito, cioè con il codino in bellavista, in modo da poterlo utilizzare come appiglio per farne un solo boccone, un finger food ante litteram. Costui (o più probabilmente costei) per la nostra fortuna decise di inventare una ricetta sostituendo ai costosi beccafichi, il pesce più povero che esisteva: le sarde.

Le sarde a beccafico sono un capolavoro di quella cucina "immaginativa" siciliana che nasce dal volere emulare sul proprio tavolo le mirabilie cucinate dai monsù, utilizzando gli alimenti e gli elementi del territorio circostante, ma riorganizzandoli e assemblandoli in maniera spiritosa e originale. Alcuni ingredienti ci dicono molto anche delle condizioni igieniche del tempo: le sarde a beccafico sono generalmente condite con mollica di pane aromatizzata all'arancia o al limone, questo probabilmente permetteva di nascondere l'olezzo delle sarde non propriamente fresche; l'uva passa (l'essiccazione era l'unico metodo prima del frigorifero per potere mangiare frutta fuori stagione) e i pinoli erano aggiunti per le loro presunte proprietà disinfettanti.

Le sarde a beccafico sono patrimonio comune della cucina siciliana, quindi non è difficile trovare differenze sostanziali tra il modo di prepararle in una zona invece che in un'altra la ricetta che vi fornisco è quella della versione palermitana.
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